Diario La Stampa
Organizzato dalla SEJF fa il punto sugli ecocidi nel mondo.Hotspot del disastro ambientale, se ne parla in un convegno a Venezia. Quindicimila morti, oltre mezzo milione di persone la cui salute e i cui averi sono stati danneggiati. È il bilancio ufficiale, depurato dei non calcolati danni all’ambiente e ampiamente sottovalutato, dell’esplosione della fabbrica di pesticidi di Bhopal, uno dei primi incidenti ambientali di rilevanza mondiale nell’epoca della consapevolezza ecologica. Le famiglie di chi è morto hanno ricevuto 500 euro di risarcimento, chi è stato danneggiato anche gravemente nella salute un centinaio.
Giustizia è stata fatta, a 30 anni di distanza? In realtà, i processi continuano e difficilmente le corti indiane riusciranno a raggiungere ed eventualmente punire il CEO della Union Carbide, multinazionale americana.
Quello indiano è solo uno dei 12 hotspot del disastro ambientale su cui magistrati e giuristi di molti paesi hanno puntato il dito nel convegno internazionale “Ambiente e salute, verso una giustizia globale” organizzato a Venezia dal SEJF, Supranational Environmental Justice Foundation, un’organizzazione nata lo scorso anno con l’obiettivo di creare strumenti di governance giudiziaria e leggi internazionali penali per l’ambiente. In realtà, la mappa degli ecocidi su scala mondiale è ancora tutta da fare. Ma i 12 punti di crisi su cui è stata puntata l’attenzione degli esperti e dei legislatori convenuti a Venezia traccia già una rete di palesi ingiustizie e incongruenze.
“Bhopal, insieme a Seveso, segna l’inizio di un’epoca di disastri ambientali che per grandezza, rilevanza e dannosità oltrepassano le frontiere e le possibilità delle strutture giudiziarie nazionali di essere efficaci”, spiega il presidente della SEJF Antonino Abrami, ex giudice della Corte di Cassazione di Venezia e attivissimo sostenitore della proposta di una giustizia mondiale sui crimini ambientali. “Ma non sono solo le catastrofi di grandi dimensioni ad aver bisogno di giustizia mondiale: ci sono luoghi del mondo dove incidenti e inquinamenti gravi, che mettono a rischio l’esistenza e la salute di intere popolazioni, non sono presi in considerazione dai sistemi giudiziari e neanche dai governi. In nome di queste ingiustizie occorre intervenire, a livello globale”.
È il caso di migliaia di incidenti ‘orfani’ o dimenticati: inquinamenti avvenuti in parti del mondo fuori dai grandi flussi informativi o che sono semplicemente usciti dai riflettori. Come per l’avvelenamento da cianuro del Danubio del 2000, una tragedia nel cuore dell’Europa di cui si sono perse sostanzialmente le tracce e su cui non si sono fatti – o resi noti – neanche studi epidemiologici approfonditi. Eppure, l’ondata di veleno tracimata da una diga di terra in cui si raccoglievano i pestilenziali residui dell’estrazione dell’oro, una delle lavorazioni di metalli più pericolose del mondo, si è diffusa in un’area di migliaia di chilometri partendo dalla miniera rumena di Auriol. E tragedia desaparecida è anche quella che diffonde disabilità mentali ad Abra Pampa, tra bambini del nord Argentina, assieme alle polveri di piombo provenienti dai depositi di lavorazione della Planta Metal Huasi, chiusa negli anni ’80. Oppure quella che sta distruggendo ambiente e salute della tribù dei nativi nordamericani Beaver Lake Cree nel civilissimo Canada, dove le estrazioni di sabbie bituminose hanno devastato una regione grande quanto la Florida.
Ma la necessità di giustizia ambientale globale non pare riguardare solo il popolo inquinato. È la Chevron, infatti, a chiedere l’intervento della Corte di giustizia dell’Aja contro il risarcimento sancito dai tribunali dell’Ecuador, che la accusano prove alla mano di aver inquinato oltre due milioni di ettari, contaminando gravemente la foresta amazzonica durante l’estrazione di petrolio con lo sversamento di 60 miliardi di litri di reflui tossici nell’acqua utilizzata dalle popolazioni locali. E così un’altra delle antiche Sette sorelle, la Shell, contesta di avere la responsabilità delle centinaia di fuochi perpetui che escono dai pozzi e dalle condotte dell’enorme campo di estrazione di idrocarburi del Delta del Niger, avvelenando aria, acqua e campi.
“La giustizia internazionale nell’ambiente tutela sia le popolazioni che le imprese. Nessuno pensa a un tribunale che perseguita l’economia: il primo obiettivo è quello di determinare regole chiare, efficaci e giuste per tutti”, ribadisce Abrami. “Lo scopo della Fondazione SEJF è quello di creare le condizioni per un Tribunale europeo dell’ambiente e per l’ampliamento delle competenze della Corte dell’Aja ai crimini contro l’ambiente, come crimini contro l’umanità e allo stesso livello di guerre e conflitti”. Per ottenere questo risultato, la Fondazione (cui partecipano tra gli altri il premio Nobel per la pace Adolfo Perez Esquivel, il vicepresidente emerito della Corte costituzionale Paolo Maddalena, il vicepresidente della Corte internazionale dell’Aja Cuno Tarfusser, europarlamentari e imprenditori green) sta attivamente lavorando presso la Commissione Europea e gli organismi internazionali interessati: l’ultimo appuntamento è stato a fine maggio a Bruxelles con Globe International, un board di eurodeputati per la green economy.
FUENTE: LA STAMPA ITALIA
Foto Dra Gomez junto al presidente de SEJF Dr Antonino Abrami
Organizzato dalla SEJF fa il punto sugli ecocidi nel mondo.Hotspot del disastro ambientale, se ne parla in un convegno a Venezia. Quindicimila morti, oltre mezzo milione di persone la cui salute e i cui averi sono stati danneggiati. È il bilancio ufficiale, depurato dei non calcolati danni all’ambiente e ampiamente sottovalutato, dell’esplosione della fabbrica di pesticidi di Bhopal, uno dei primi incidenti ambientali di rilevanza mondiale nell’epoca della consapevolezza ecologica. Le famiglie di chi è morto hanno ricevuto 500 euro di risarcimento, chi è stato danneggiato anche gravemente nella salute un centinaio.
Giustizia è stata fatta, a 30 anni di distanza? In realtà, i processi continuano e difficilmente le corti indiane riusciranno a raggiungere ed eventualmente punire il CEO della Union Carbide, multinazionale americana.
Quello indiano è solo uno dei 12 hotspot del disastro ambientale su cui magistrati e giuristi di molti paesi hanno puntato il dito nel convegno internazionale “Ambiente e salute, verso una giustizia globale” organizzato a Venezia dal SEJF, Supranational Environmental Justice Foundation, un’organizzazione nata lo scorso anno con l’obiettivo di creare strumenti di governance giudiziaria e leggi internazionali penali per l’ambiente. In realtà, la mappa degli ecocidi su scala mondiale è ancora tutta da fare. Ma i 12 punti di crisi su cui è stata puntata l’attenzione degli esperti e dei legislatori convenuti a Venezia traccia già una rete di palesi ingiustizie e incongruenze.
“Bhopal, insieme a Seveso, segna l’inizio di un’epoca di disastri ambientali che per grandezza, rilevanza e dannosità oltrepassano le frontiere e le possibilità delle strutture giudiziarie nazionali di essere efficaci”, spiega il presidente della SEJF Antonino Abrami, ex giudice della Corte di Cassazione di Venezia e attivissimo sostenitore della proposta di una giustizia mondiale sui crimini ambientali. “Ma non sono solo le catastrofi di grandi dimensioni ad aver bisogno di giustizia mondiale: ci sono luoghi del mondo dove incidenti e inquinamenti gravi, che mettono a rischio l’esistenza e la salute di intere popolazioni, non sono presi in considerazione dai sistemi giudiziari e neanche dai governi. In nome di queste ingiustizie occorre intervenire, a livello globale”.
È il caso di migliaia di incidenti ‘orfani’ o dimenticati: inquinamenti avvenuti in parti del mondo fuori dai grandi flussi informativi o che sono semplicemente usciti dai riflettori. Come per l’avvelenamento da cianuro del Danubio del 2000, una tragedia nel cuore dell’Europa di cui si sono perse sostanzialmente le tracce e su cui non si sono fatti – o resi noti – neanche studi epidemiologici approfonditi. Eppure, l’ondata di veleno tracimata da una diga di terra in cui si raccoglievano i pestilenziali residui dell’estrazione dell’oro, una delle lavorazioni di metalli più pericolose del mondo, si è diffusa in un’area di migliaia di chilometri partendo dalla miniera rumena di Auriol. E tragedia desaparecida è anche quella che diffonde disabilità mentali ad Abra Pampa, tra bambini del nord Argentina, assieme alle polveri di piombo provenienti dai depositi di lavorazione della Planta Metal Huasi, chiusa negli anni ’80. Oppure quella che sta distruggendo ambiente e salute della tribù dei nativi nordamericani Beaver Lake Cree nel civilissimo Canada, dove le estrazioni di sabbie bituminose hanno devastato una regione grande quanto la Florida.
Ma la necessità di giustizia ambientale globale non pare riguardare solo il popolo inquinato. È la Chevron, infatti, a chiedere l’intervento della Corte di giustizia dell’Aja contro il risarcimento sancito dai tribunali dell’Ecuador, che la accusano prove alla mano di aver inquinato oltre due milioni di ettari, contaminando gravemente la foresta amazzonica durante l’estrazione di petrolio con lo sversamento di 60 miliardi di litri di reflui tossici nell’acqua utilizzata dalle popolazioni locali. E così un’altra delle antiche Sette sorelle, la Shell, contesta di avere la responsabilità delle centinaia di fuochi perpetui che escono dai pozzi e dalle condotte dell’enorme campo di estrazione di idrocarburi del Delta del Niger, avvelenando aria, acqua e campi.
“La giustizia internazionale nell’ambiente tutela sia le popolazioni che le imprese. Nessuno pensa a un tribunale che perseguita l’economia: il primo obiettivo è quello di determinare regole chiare, efficaci e giuste per tutti”, ribadisce Abrami. “Lo scopo della Fondazione SEJF è quello di creare le condizioni per un Tribunale europeo dell’ambiente e per l’ampliamento delle competenze della Corte dell’Aja ai crimini contro l’ambiente, come crimini contro l’umanità e allo stesso livello di guerre e conflitti”. Per ottenere questo risultato, la Fondazione (cui partecipano tra gli altri il premio Nobel per la pace Adolfo Perez Esquivel, il vicepresidente emerito della Corte costituzionale Paolo Maddalena, il vicepresidente della Corte internazionale dell’Aja Cuno Tarfusser, europarlamentari e imprenditori green) sta attivamente lavorando presso la Commissione Europea e gli organismi internazionali interessati: l’ultimo appuntamento è stato a fine maggio a Bruxelles con Globe International, un board di eurodeputati per la green economy.
FUENTE: LA STAMPA ITALIA
Foto Dra Gomez junto al presidente de SEJF Dr Antonino Abrami
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